Orietta Fatucci, quando l’editoria è donna
La triestina, dal 1976 amministratrice delegata di Editoriale Libraria, è candidata al premio PublisHer Excellence Award, nella categoria Lifetime Achievement

«Ha un pochino il sapore del premio alla carriera, come dire: Orietta, ora puoi andartene serenamente in pensione, come i grandi registi ottantenni che ricevono l’Oscar. Eh, certo, la categoria è quella…». Se c’è una cosa che non manca a Orietta Fatucci è l’ironia.
Dal 1976 amministratore delegato della casa editrice triestina Editoriale Libraria (che possiede i marchi EL, Einaudi Ragazzi ed Emme Edizioni), oggi alla Bologna Children’s Book Fair - l’appuntamento più atteso dal mondo dell’editoria per l’infanzia - potrebbe essere la sua giornata, il giorno del riconoscimento pubblico del suo lavoro, del suo fiuto, della sua tenacia, delle sue capacità imprenditoriali declinate al femminile.
Il suo nome è infatti nella terna di nomination al premio internazionale PublisHer Excellence Award categoria Lifetime Achievement (ovvero le donne editrici con più anni di carriera alle spalle e di virtuosa conduzione aziendale), che arriva immediatamente dopo le celebrazioni per i cinquant’anni di EL nel 2024: l’anno magico in cui le vendite sono state «speciali», lo Studio Tassinari e Vetta ha disegnato il nuovo logo, la decisione di cambiare “casa” con un trasloco programmato quest’autunno in pieno centro, l’attestazione di marchio storico di interesse nazionale con la cerimonia in Comune… Adesso tocca a lei.
Finalista assieme a Sally Kim della Little, Brown and Company (Usa) e all’egiziana Dalia Ibrahim (amministratore delegato della Nahdet Misr Publishing House), nomination che arriva da Bodour Al Qasimi, fondatrice della Emirates Publishers Association, ex presidente dell’International Publishing Association (prima donna araba a ricoprire la carica globale e la seconda donna da quando l’organizzazione è stata fondata nel 1896), ideatrice del premio, alla sua seconda edizione. Che non vuole essere solo un premio, piuttosto una piattaforma che intende costruire una comunità globale di editori guidata da donne.
Quanto fa piacere ritrovarsi in questo terzetto?
«Molto, perché è un’iniziativa al femminile. Il mondo editoriale è un mondo al femminile ma non quando si tratta di decidere: gli amministratori delegati, i presidenti dei grandi gruppi, tutti uomini. Quindi il fatto che sia nato questo progetto che ha come focus la formazione editoriale delle donne, è una cosa bella, ne abbiamo bisogno. Quasi stento a crederlo: mi sembra incredibile che abbiano pensato a me».
A organizzare il PublisHer Excellence Award è una donna, figlia dell’emiro di Sharjah, studi universitari a Cambridge e Londra, fondatrice di una casa editrice che è leader nel campo dei libri per i bambini in arabo, presidente di una Fondazione che ha fornito libri ai rifugiati e ai bimbi colpiti da guerre in tutto il mondo. Ma l’Europa, o l’America, continenti dove ci si riempie la bocca di gender gap, dove sono?
«L’Europa è un continente vecchio, sonnacchioso, totalmente arretrato; gli Stati Uniti ho la sensazione che siano in uno stato confusionale totale. Certo, dal punto di vista editoriale non c’è mai stato niente del genere e che venga dal mondo arabo è stupefacente, eppure più entusiasmante. Bello e brave! Da noi c’è rassegnazione».
Quando ha iniziato, lei era l’unica ai vertici di una casa editrice?
«Sì, e ho continuato a esserlo. Sono una mosca bianca».
Avverte qualche cambiamento?
«Non vedo avanzamenti in Italia e all’estero uguale. Faccio un esempio: alla Fiera di Bologna arrivano 1500 editori da tutto il mondo, io non ho un appuntamento con un uomo, solo con direttrici editoriali, tutte donne, ma non sono né amministratori delegati né presidenti».
Questo premio si occupa, nelle altre categorie, anche di editoria emergente: a quale Paese guarda con maggiore attenzione?
«La Cina, decisamente. Dall’India non abbiamo acquistato nulla, e così dall’Africa. Viceversa noi vendiamo lì: Corea del Sud, Vietnam, Cina, Giappone, India, Africa e Paesi arabi comprano da noi e non solo da noi, ma non hanno ancora una produzione al pari di quella europea o dei Paesi anglofoni. Capisco che tanti Paesi emergenti abbiano ben altre urgenze».
Nel caso vincesse questo riconoscimento a chi lo dedicherà?
«Alle donne e alle mie donne, in particolare mia figlia, Gaia, che lavora da tanti anni con me e che è più brava di me. È pronta a raccogliere le redini quando sarò stanca e stufa».
Sarà mica stanca e stufa?
«Questo lavoro è la mia vita: l’azienda va bene, riceviamo riconoscimenti di ogni tipo, il pubblico apprezza la nostra qualità. In ufficio c’è una bella atmosfera, ho solo soddisfazioni. Io corro la mattina, io qua sono felice».
Ci sono anche dei nipotini…
«Quattro maschiacci. Il grande, Beniamino, è al terzo anno di Storia all’Università di Firenze: quest’anno è a Bologna per la prima volta, sta facendo lo stesso percorso di Gaia. Chiariamo: l’azienda è azienda, se Gaia non fosse entrata a lavorare con me avrei venduto serenamente, non avrei mai forzato nessuno a seguire la mia strada. Non è giusto. Certo vedere Beniamino che si avvicina, è una gioia. E comunque… io non sono né stanca né stufa». —
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